Come fai a dire "fresco lana", quando a metà luglio sei costretto a vestirti con giacca e cravatta?
Quando devi rincorrere l'autobus perché sei in ritardo ed una volta salito ti trovi a condividere il tuo spazio vitale con il triplo delle persone che sarebbe ragionevole rinchiudere in quel mezzo metro quadrato.
Quando cerchi di scendere, ma la calca ti impedisce di raggiungere l'uscita in tempo e devi tornare di corsa fino alla fermata precedente nuotando nell'afa dell'estate cittadina, con la suola in cuoio delle scarpe che scricchiola e scivola sull'asfalto e la cartellina stretta sottobraccio, come fosse un pallone da rugby.
In quei momenti, altro che "fresco lana": quello che senti addosso è un cilicio ardente, una penitenza da peccatore medioevale.
"Perché non sono una donna?" penso, mentre i rivoli di sudore scendono lungo la schiena inzuppando la camicia.
"Una gonna, una giacchetta e voilà! Certo, le scarpe coi tacchi...Ma le potrei indossare solo all'ultimo momento, come si vede in certe commedie americane" e ansimando disperatamente, immerso in considerazioni sulla mia identità sessuale, giro l'angolo e meccanicamente rallento il passo quando appare, finalmente, il palazzo di SEAT-Pagine Gialle.
Un gigantesco insieme di linee squadrate, acciaio, alluminio, cemento e vetri a specchio, che si intersecano senza eleganza.
La versione tozza di un vero grattacielo, un grattacielino, insomma, figlio di quell'architettura che, volendo privilegiare la razionalità, riesce ad essere incredibilmente anonima. Avvicinandomi alla costruzione, nuovi dettagli mi rendono chiaro che anche la sensazione di ordine e modernità sono solo apparenza.
Il cemento è granuloso. Mostra macchie di muffa e vistose crepe dalle quali, ad ogni mio passo si sporge la testa di una lucertola curiosa. Forse sentinelle incaricate di controllare chi sia l'estraneo che si avvicina a quella cattedrale ortogonale. Piccoli fiori gialli (in omaggio ai colori aziendali, immagino) spuntano nelle fessure fra i gradini a ricordare, ma con austero understatement, la superiorità della natura rispetto alla vanità delle cose umane.
"Mio dio, fai che abbiano l'aria condizionata al massimo", prego arrivando finalmente alla porta in vetro e nel farlo mi ci specchio per sistemarmi i capelli, non dando peso al fatto che tutti mi possano vedere.
Attendo che si apra la porta automatica.
Attendo ancora, con impassibile dignità.
Con atteggiamento indifferente, mi sposto un poco a destra cercando di intercettare il sensore, quindi alzo la mano come a salutare quella lucetta rossa, ed infine salto a piè pari con il braccio verso l'alto per cercare di intercettare la fotocellula.
Niente si muove, a parte gli sguardi imbarazzati delle persone che, da dentro, mi osservano come un animale da circo.
"E' inutile che si agiti, giovanotto, quella porta non funziona" dice una voce alle mie spalle.
Mi volto e vedo che a parlare è un'anziana signora, vestita dimessamente con golfino e gonna di lana, nonostante il caldo.
"Non ha visto? C'è anche il cartello!".
Mi giro verso la porta e noto un foglio di carta stampato col computer che recita 'in manutenzione'.
"Lei non deve essere molto sveglio. Meglio. Si troverà a suo agio in questo ambiente".
"Veramente sono qui per un colloquio" abbozzo.
"Non si preoccupi e mi segua, che l'accompagno alla porta. La porta che funziona, intendo." mi dice con un sorrisetto mentre con passo insopportabilmente lento si avvia verso l'altro lato della costruzione.
"Basta che mi indichi la strada..."
Mi zittisce avvicinando l'indice alle labbra.
“Non si preoccupi. Le assicuro che abbiamo tutto il tempo che serve.”
Stupito la seguo fino alla porta in metallo di un'uscita di sicurezza, dove estrae una lunga chiave dalle tasche ed apre.
"Lei scende da queste scale, poi prosegue per il corridoio fino in fondo, seguendo le indicazioni. Lì c'è un ascensore. Arriva al terzo piano e cerca la stanza 313. Tutto chiaro?”
Annuisco, chiedendomi se davvero per entrare nell'edificio si debba fare tutto questo, tutti i giorni.
"Me lo ripeta." mi dice.
"Scusi?"
"Prima non ha letto il cartello sulla porta, non vorrei dover mandare qualcuno a cercarla nei sotterranei".
"Io glielo ripeto, ma è sicura che..."
"Colloqui per gli interinali, giusto? Allora la strada migliore è quella."
Annuisco obbediente "Fino in fondo al corridoio, poi ascensore, terzo piano, stanza 313" e mi avvio verso l'entrata.
"Aspetti! Dimenticava il badge."
Scava nelle tasche della gonna ed estrae una manciata di targhette di plastica.
Li osserva una ad una con flemma "Questo no. Questo..." mi guarda un attimo "no, nemmeno... Ecco!" e mi porge un pass, con la scritta "visitatore".
"Mi raccomando me lo renda all'uscita: sa, bisogna tutelare la sicurezza degli elenchi telefonici di Ancona..." dice con tono, spero, sarcastico.
"Ma se non passo dalla reception, come sanno del mio arrivo?"
"Invece di preoccuparsi di queste sciocchezze, si faccia dare un'occhiata" e si porge verso di me squadrandomi da capo a piedi.
"Giovanotto, sa che ha un aspetto orrendo?" dice annuendo con la testa. Riprende a trivellare nelle tasche e tira fuori una catenella con un vistoso crocefisso, poi una boccettina ed un fazzoletto.
"Se vuole un consiglio, si tolga quell'orecchino da marinaio, si levi la cravatta, ed indossi questa croce al collo. Bene in vista. Prenda anche questa boccetta di profumo e questo fazzoletto, e prima di entrare si rinfreschi un po', che, sennò, nemmeno con tutta la buona volontà..."
Sto per chiedergli chi sia e perché faccia tutto questo, ma lei mi liquida con un cenno.
"Vada vada."
In verità piuttosto preoccupato, passo finalmente la porta. Richiudendosi, mi rende per qualche istante completamente cieco, per il passaggio dal sole estivo alla penombra del seminterrato. Scendo quindi con cautela le due rampe di scale e mi trovo in un corridoio con le pareti in cemento armato sulle quali si sviluppano decine di tubi di diverse dimensioni.
Il tutto è illuminato da neon che, incapaci di far splendere i colori, sembrano smorzarli verso una serie infinita di tonalità di grigio. Quel tubo è grigio-azzurro, quell'altro più grande è grigio-rosso fuoco, le frecce che mi stanno indicando la strada, sono di una tonalità di grigio-giallo canarino che prende vita solo negli scantinati, e probabilmente non è riproducibile in alcun altro luogo. Passo centraline elettriche, mucchietti di veleno per i topi e avvisi di deblattizzazione dei locali, completi di teschio stilizzato e avvertimento multilingue, forse necessario per dissuadere qualunque forestiero di passaggio dal leccare muri o pavimenti.
L'insetto che sguscia verso una fessura fra i tubi, mi riporta bruscamente al dramma della scarsa alfabetizzazione fra gli scarafaggi.
Mentre cammino in quei corridoi deserti, mi chiedo che succederebbe se incontrassi qualcuno. Che scusa potrei inventarmi, a parte mostrare un pass che non sono nemmeno certo sia valido in quel piano.
Dire di essermi perso sarebbe la scusa più logica, ma anche la meno credibile: va bene perdersi fra gli uffici, ma finire lì! Senza contare che nemmeno sono passato dalla reception, quindi la mia presenza sarebbe oltremodo sospetta.
Mi vengono in mente vecchi film e mi chiedo se anche nei casi di spionaggio industriale sia comune la tortura ma, fortunatamente, appena girato l'angolo, intravvedo finalmente la sagoma dell'ascensore.
Lo chiamo al piano e non posso fare a meno di sentirmi sollevato, quando vedo la doppia porta aprirsi inondando di luce, per qualche istante, l'intero corridoio.
Arrivato al piano, mi accoglie una segretaria annoiata che mi informa che il dottore mi riceverà fra qualche minuto.
Ne approfitto per rinfrescarmi con un po' del profumo datomi dalla signore, faccio un respiro profondo, indosso il sorriso d'ordinanza e finalmente mi chiamano nella stanza col curriculum in mano.
E' una stanza quadrata, senza finestre. Tre sedie, un tavolo, sulla mia destra uno schedario, con sopra, incorniciata, una vecchia pubblicità delle Pagine Gialle degli anni '70, dove una donna sorridente trova un idraulico in pochi secondi grazie al meraviglioso elenco. La luce artificiale colora l'insieme del tono freddo azzurrognolo che ci si aspetterebbe in una stanza d'ospedale, con l'eccezione dell'enorme pianta sulla sinistra, che in contrasto con l'austerità dell'insieme, è di una tonalità di verde impossibile per queste latitudini, come se un pezzo di foresta pluviale si fosse miracolosamente teletrasportato dall'Amazzonia.
La osservo meglio. E' di plastica.
Ci presentiamo.
Di fronte è il dottor Ardeini, ha un'abbronzatura da dirigente appena tornato dal weekend in barca a vela. Età indefinibile, dai 40 mal portati ai 60 portati benissimo, ed un viso che non scordi, solcato diagonalmente dalla base del naso fino a dietro la guancia da una spessa cicatrice, al collo una vistosa croce in legno, di quelle che, un tempo, usavano gli ordini minori.
Alla sua destra riconosco l'anziana signora che ho incontrato pochi istanti prima. Le è bastato sostituire il golfino con una giacca in tono con la gonna ed indossare un paio d'occhiali per trasfigurarsi nell'immagine austera della donna in carriera.
Accenno un timido saluto, mentre mi chiedo come abbia fatto a precedermi, ma lei non raccoglie.
"Le presento la signora Camerini, la responsabile del reparto" grugnisce il dirigente.
La signora mi porge la mano mollemente sul dorso e per un istante non capisco se pretenda che gliela baci o altro.
Il mio spirito laico prevale.
Mi limito a stringerla.
"Piacere di fare la sua conoscenza. Parlando a nome di entrambi, credo che abbiamo molto apprezzato il suo curriculum" dice guardando con complicità il dottore.
Iniziamo la chiacchierata, come, con ottimismo, l'hanno definita i miei due interlocutori.
E nel frattempo cerco di non guardare la cicatrice sul volto del dirigente.
Fisso le sue mani, la croce che porta al collo, un punto indefinito 2 metri oltre il suo viso, cerco solidarietà negli occhi della signora Camerini, ma per un istante mi distraggo, e lo sguardo al ritorno finisce esattamente dove non doveva finire. Nemmeno alza gli occhi dalla lettura del curriculum e dice "incidente d'auto".
Poi aggiunge: "La metto a disagio?"
Sono come ipnotizzato alla visione di quel candido lampo inciso sulla pelle abbronzata ma dico di no con tono imbarazzato.
"Allora arriviamo al punto" mi spiega Arduini "Voglio che sa che è un lavoro di grande responsabilità, dove si deve salvaguardare l'immagine dell'azienda di fronte ai clienti."
"Capisco", dico.
“Si tratta del ruolo di complaint manager”.
"Capisco", dico. Ma non ho capito.
Mi scruta per capire se ho capito davvero.
"Si tratta di gestire i reclami dei clienti" dice con tono compassionevole la signora "Come se li sentiamo per telefono e cerchiamo una soluzione, in modo semplice e veloce e senza mettere di mezzo gli avvocati".
Spiegato in quel modo, e col tono da nonnina benevola, il lavoro non pare tanto male.
Sembra la descrizione del programma televisivo Forum in versione SEAT Pagine Gialle.
Ma in quella stanza, sappiamo tutti che passare 8 ore al giorno a sentire al telefono le lamentele di clienti insoddisfatti è un lavoro di merda, e che se sono lì è perché ne ho un bisogno disperato.
Quindi reindosso il mio sorriso e andiamo avanti.
"Ho maturato una certa esperienza nel tele-marketing, nel passato" lascio cadere, indicando il curriculum che tiene in mano.
La Camerini per un istante abbandona il tono professionale e, non facendosi vedere dal dottore, mi fa un cenno complice per invitarmi ad approfondire l'argomento.
"Vendite telefoniche. Dovevamo vendere surgelati al telefono" aggiungo.
"Bofrost, leggo. Credo di averli comperati anch'io, pensa un po'" dice il dirigente, la cui cicatrice assume ora la forma di un mezzo sorriso. Contro ogni logica, i surgelati hanno rotto il gelo tanto da indurlo a darmi del “tu”, penso.
"E come li hai trovati?" chiedo, approfittando della familiarità appena conquistata.
Mi guarda malissimo e non mi degna di risposta.
E invece interviene la vecchietta, cambiando completamente discorso "Vedo che è laureato con lode, ha lavorato in istituti di ricerca, nella pubblicità... Non pensa che queste competenze sono sprecate per il lavoro che le offriamo?"
25 parole di quella donna hanno riportato il clima sottozero e mi hanno fatto intuire la gaffe appena fatta.
Lui mi scruta con lo sguardo assassino di un cacciatore di teste amazzonico, pronto a vendicarsi della mia mancanza di rispetto di poco prima, lei mi guarda con un'aurea compassionevole da madonna trecentesca in attesa che io dica qualcosa.
All'agenzia interinale mi hanno raccomandato di sorvolare sul fatto che si tratta di una soluzione tampone, mentre cerco qualcosa di meglio. Ma di fronte alla domanda diretta, non resta che mentire spudoratamente.
"E' un lavoro per un'azienda seria, una grande realtà economica. Poi all'agenzia mi hanno detto che ci sono prospettive di assunzione e possibilità di carriera".
Annuiscono, la tensione si allenta, sembrano contenti.
Anch'io sono contento: 1280 euro al mese, su 14 mensilità, 36 ore settimanali, con ticket e liquidazione, per la mia situazione economica sono una manna dal cielo.
Sono soddisfatto del mio colloquio, e dalle loro espressioni mi immagino che stiano per congedarmi, con ottime prospettive per il futuro.
Ma Arduini non è della stessa opinione.
"Un'ultima cosa... Sarò sincero" sospira il dirigente "Lei sembra una persona capace, ma all'agenzia interinale avevamo chiesto che ci mandavano qualcuno rigorosamente sotto i trent'anni, e lei ne ha 35 abbondanti."
Deglutisco.
La sua cicatrice adesso ha un'aria sinistra, assumendo la forma di un una scimmietta ammaestrata vestita da giullare, impiccata sull'albero maestro di una goletta seicentesca, ancorata al largo del porto di Bergen in Norvegia, una sera di plenilunio di giugno, ed ondeggiante per l'alzarsi della marea e del vento...
"Per la mia esperienza, e, sottolineo, qui sono io a decidere" aggiunge "penso che lei è troppo anziano e troppo qualificato. Le persone come lei vedono questo lavoro come una breve parentesi, mentre cercano qualcosa di più adatto alle loro possibilità."
Deglutirei di nuovo, ma non ho più nulla da deglutire.
"Vede" aggiunge la vecchietta con tono innocente "teoricamente lei non aveva dovuto nemmeno essere preso in considerazione".
Deglutisco una tonsilla.
"Tuttavia" dice il dirigente..."La signora Camerini, prima del colloquio mi ha fatto notare che lei ha lavorato per le missioni....la cosa ci ha molto colpito!"
"Capisco" rispondo pensando ad altro, ma proprio mentre sto per aggiungere qualcosa siamo distratti da una vampata di profumo dolcissimo.
Odore di fiori, acqua di rose.
Mentre si consultano fra loro, la Camerini sorprendentemente mi ammicca sorridente, immaginando che la boccettina che mi ha dato, si sia rovesciata e stia inondando la stanza del suo profumo.
"E' un peccato che non si può aiutare una persona così devota. Di questi tempi..." mi dice la donna guardando con complicità il dottore, e poi con falsa sorpresa aggiunge "Ma cos'è questo profumo?" quando la raggiungono i primi afflati di quell'odore celestiale.
"Non so, non sento niente di particolare." sostengo fingendo di cercare di essere convincente.
Torquemada ci scruta perplesso. Anche la sua cicatrice ha preso la forma di un enorme punto interrogativo.
L'anziana donna, si alza platealmente sulla sedia, come per odorare meglio. "Eppure...sembra odore di fiori... Come quello che si sente nelle... cripte dei santi." dice come se avesse avuto un'illuminazione mistica quell'angelo del signore di vecchietta "E proviene da lei!"
Non so immaginare la mia faccia nel momento in cui quella santa donna si è infervorata ed ha detto, rivolta al dirigente, che proprio lui sa che certe cose succedono, e che non possiamo fare finta di niente, che ero una persona pia e quello che stava accadendo era un segno del santo.
Quale santo in particolare, non l'ho capito, ma a quella parola il dirigente cambia espressione, borbottando qualcosa di incomprensibile e per poi lanciarsi sulle le mani iniziando ad odorarle e poi a baciarle con sincera commozione.
Fattostà che in pochi minuti, colui che doveva decidere il mio destino si è cristianamente convinto della volontà divina della mia assunzione, ed io me ne esco dall'ufficio, col contratto firmato in mano e l'appuntamento, alle 9 del mattino, il lunedì successivo.
Sono ancora un po' stupito della piega che hanno preso gli eventi e mi avvio lentamente verso l'ascensore, ma mentre attendo, sento alle mie spalle un colpo di tosse.
Mi volto e rivedo l'anziana signora.
"Le dicevo che non c'era niente di cui preoccuparsi" mi dice e poi "Mi ha rovinato una boccetta di profumo costoso, mi aspetto che lunedì rimedi. Il pass può lasciarlo in reception, li ho avvertiti."
Meccanicamente accenno a togliermi dal collo il crocefisso.
"No, quella può tenerla. La consideri un gadget aziendale. Anzi le consiglio di indossarla. Mi pare che le porti bene".
Annuisco stupito di come il congiuntivo sia improvvisamente risorto in quelle stanze e poi "Ma si svolgono sempre in questo modo i colloqui in questa azienda?"
La signora si guarda le mani pensierosa e dopo qualche istante "E' una triste storia. ... Il dottore da quando ha avuto l'incidente, non è più lo stesso." E poi con sguardo sognante "Doveva conoscerlo prima, pieno di vita...Un meraviglioso peccatore".
"E poi?"
"Poi tutto è cambiato... Pensa di avere ricevuto una grazia enorme dal Santo e non è più emotivamente stabile come un tempo."
Annuisco convinto. Convinto di molte cose, a dire il vero.
E poi aggiungo "Ma perché Lei ha fatto tutto questo?"
"Avevo letto il suo curriculum stamattina, e mi sono detta che una persona che ha lavorato per le missioni deve essere comunque meno peggio di tanti altri ed andava aiutata. Era da febbraio che Arduini bocciava tutti i candidati ed in ufficio, invece, abbiamo bisogno d'aiuto."
La saluto con gratitudine e mi avvio verso l'uscita.
Svolte le ultime pratiche burocratiche all'ufficio personale, esco dall'edificio da una porta laterale e nel cortile deserto mi reimmergo nel caldo di Luglio. Mentre ero dentro ci deve essere stato un temporale, e la luce adesso ha dei chiaroscuri fiamminghi, riflettendo la forma delle nuvole sull'asfalto bagnato.
Santa donna e miracoloso il correttore automatico di Word, che ha trasformato in volontariato in Africa, il mio lavoro come stagista da Missoni.
Mi avvio verso il cancello di uscita ed istintivamente metto una mano in tasca a controllare la boccetta. Il tappo è pieno di piccoli fori. Diavolo di una vecchietta! Pensare di avere un personaggio del genere come capoufficio mi diverte e mi spaventa allo stesso tempo, ma forse mi spaventa meno di sapere che il capo del personale sia convinto che io sia un "prescelto" dal santo! Ma mentre sono immerso in questi pensieri sono distratto da un rumore sordo e noto un passero che, ingannato dalla luce e dai vetri a specchio del palazzo, si è sfracellato contro una finestra e adesso è a pochi passi da me, agonizzante con il collo ed un'aletta spezzati.
Lo raggiungo, e dopo essermi spostato in un angolo riparato,in modo che nessuno possa vedermi, lo prendo fra le mani per qualche secondo e gli soffio sopra, lanciandolo poi in aria.
Stramazza a terra, stecchito.
Si è fatto tardi, riprendo la mia cartellina e mi avvio alla fermata del bus, un po' deluso.