Un artista può essere il fiore all’occhiello della cultura di un regime totalitario, comporre marce e fanfare, sinfonie petulanti e retoriche e, per una misteriosa alchimia, mantenere un’indiscutibile integrità morale nei confronti dell’arte, riuscendo comunque a inserire nella propria musica pagine fra le più belle ed ispirate del ‘900?
Se un’artista è riucito in tutto questo, è D’mitri Shostakovich.
Shostakovich nasce nel 1906. Giovanissimo pianista di talento, nel 1927 partecipa al concorso Chopin di Varsavia, dove però nonostante sia fra i favoriti, non vince, anche a causa di una crisi di appendicite proprio nel corso delle finali. Decide quindi che la sua strada non sia l’esecuzione ma la composizione. Bizzarro.
Ancora più curioso che Svitoslav Richter, uno dei più grandi pianisti del secolo, considerato uno fra i più intrattabili divi della tastiera, confessasse che l’unica persona che gli dava un reale timore reverenziale fosse proprio Shostakovich. In quanto, a suo dire, era l'unica persona al mondo in grado di comprendere la musica per pianoforte meglio di lui.
E che dire di una persona che viene insignita del prestigiosissimo Premio Lenin per le proprie composizioni, e dopo soli 12 mesi, si trova nella condizione di dover abiurarare le stesse identiche composizioni, per evitare problemi giudiziari?
Se da certi di vista non sempre è corretto analizzare la musica in funzione storica, nel caso di Shostakovich questo processo è inevitabile. Infatti la migliore chiave di lettura della sua (vasta) produzione è proprio la ricerca dei paradossi che hanno accompagnato la sua vita, paradossi che, nella Russia dei soviet erano all'ordine del giorno, paradossi che si specchiano anche nella sua produzione artistica, che spesso presenta una “maschera” retorica e rassicurante (per il regime), ma che allo stesso tempo contiene spunti di autoironia che sembrano comunicare allo spettatore smaliziato “prima ti ho mostrato l’abito nuovo dell’imperatore, ma adesso ti faccio capire che so benissimo che l’imperatore in realtà è nudo e l’imperatore è talmente borioso, che nemmeno capisce che lo sto prendendo in giro!”
Geniale.
Geniale laddove, come nei primissimi lavori, ha potuto dare sfogo liberamente alla propria creatività (la prima sinfonia, uno dei suoi capolavori, era stata il suo saggio per il diploma al conservatorio), ma anche e soprattutto, geniale quando la sua ironia viene dissimulata all’interno di composizioni apparentemente osservanti il più ortodossi canoni stilistici sovietici.
Canoni stilistici che si basavano sulla creazione di “musica realmente russa”, che privilegiavano la sinfonia ( genere che in realtà in Russia non godeva di particolare tradizione –se si eccettua Tchaikovsky, che però si riconduceva ai modelli tedeschi) e che ambivano alla finalità di “dilettare le masse, sottolineando la gloria della rivoluzione d’ottobre”.
(Anche) per queste ragioni Shostakovich fu eminentemente un sinfonista, tanto che ne scrisse ben 15 nella sua vita, utilizzando massicciamente temi d’ispirazione popolare e intitolando le varie sinfonie “L’anno 1905”, “Il Primo Maggio”, “Il 1917” etc. andando cioè a toccare le date ed i temi cari all’iconografia ufficiale.
Allo stesso tempo fu anche un prolifico quartettista e, forse, sarebbe interessante studiare come la sua creatività sfruttasse in maniera diversa questi differenti strumenti, laddove, nel caso dei quartetti, essendo destinati ad un pubblico più raccolto, gli era permessa una maggiore libertà dai vincoli del Ministero della Cultura.
Fattostà che, per restare alle sinfonie, almeno 6 di esse (prima, quarta, quinta, sesta, settima ed ottava) siano da considerare fra i maggiori lasciti sinfonici del ‘900 (soprattutto se, e non senza buone ragioni, consideriamo Mahler come un’appendice del XIX secolo).
E sottolineo del ‘900: infatti nonostante per semplicità talvolta si parli genericamente di “musica classica”, in questo caso siamo di fronte a musica sconvolgente, che poco o niente ha a che spartire con il sinfonismo beethoveniano o dell’800, se non per l’uso di un’orchestra.
Chi volesse avvicinarsi alla musica, potrebbe scoprire che la "musica classica" non è solo composta da minuetti e salterelli, ma che autori come Shostakovich, Prokofiev, Hindemith, Stravinsky, Schoenberg…solo per citare i maggiori, non erano dei semplici continuatori di una tradizione ormai impolverata, ma dei veri e propri rivoluzionari, autori di musica molto più “moderna” (e non per questo meno gradevole) di quella che siamo abituati ad ascoltare o, addirittura, a celebrare (la maggior parte delle colonne sonore cinematografiche, per esempio, copia in maniera evidente dalla produzione di questi autori).
Tornando alle sinfoniedi Shostakovich, la Prima , come accennato è un’opera giovanile brillante, stravagante e largamente influenzata da Hindemith e dall’avanguardia tedesca.
La Quarta sinfonia è un’opera di svolta nella sua produzione, composta nel periodo di maggiore crisi personale, segnato dalle critiche da parte del regime per il presunto “imborghesimento occidentalizzante” della sua produzione. Perciò venne ritirata dall’autore prima ancora della sua esecuzione. Stilisticamente è importante perché rappresenta l’ultima opera composta senza pressioni esterne.
La Quinta è, al contrario, la prima opera “di compromesso” ed è anche una delle sue composizioni più conosciute: basata principalmente sulla rielaborazione di temi popolari, è in effetti un vero capolavoro e, assieme alla prima, potrebbe essere la sinfonia migliore per iniziare l’ascolto di Shostakovich).
La Sesta, la Settima e l’Ottava sono le cosiddette “Sinfonie di Guerra”: in esse l’elemento bellico non solo è presente, ma è addirittura il protagonista (celebre il terzo movimento dell’Ottava che riproduce un bombardamento), e proprio in queste sinfonie, scritte in momenti molto difficili sia per la Russia che per Shostakovich stesso (l’assedio di Leningrado, la sua città natale alla quale è dedicata la Settima, portò ad oltre un milione di vittime, fra cui numerosi suoi amici e parenti) mostrano i primi esempi della dualità della sua produzione successiva: dietro al trionfalismo di facciata di queste composizioni, infatti, vi è un nodo irrisolto di terrore per ciò che accade intorno che, tutto sommato, poco si concilia con i proclami di vittoria.
Purtroppo alcune altre sinfonie (mi viene in mente l’Undicesima, ad esempio), sono veramente deludenti, per cui non saprei se consigliare a cuor leggero l’acquisto di un cofanetto o se prendere solo le sinfonie segnalate.
Riguardo le edizioni in commercio, tradizionalmente sono considerate registrazioni di riferimento quella di Haitink con la Congertebow di Amsterdam (DECCA) e quella di Kondrashin con l’Orchestra di Stato dell’URSS (Melodyia). Quest’ultima edizione, pur essendo registrata in maniera assai lontana dagli standard attuali ha la referenza unica di essere diretta da colui che ha diretto qualcosa come 10 “prime esecuzioni” delle sinfonie di Shostakovich, l’edizione Haitink ha dalla sua un’orchestra di livello molto superiore, una registrazione di alta qualità e, probabilmente, una visione più meditata della musica. Lato negativo è che mentre i cd di Kondrashin sono acquistabili singolarmente, quelli di Haitink sono solo in cofanetto.
Fra le registrazioni più recenti, abbastanza valida l’edizione ultra-economica di Barshai per la Brillant (3 euro a cd circa, solo in cofanetto) ben registrata, ma un po’ troppo posata, quella di Rodzensvensky (Melodyia), disponibile su 7 cd doppi separati, che al contrario sembra un po’ troppo fragorosa, ma che, se perde qualcosa dal punto di vista della raffinatezza, è comunque un’edizione incredibilmente valida dal punto di vista squisitamente emotivo.
In compenso quella che forse è la migliore edizione in commercio, in realtà è una non-edizione, nel senso che è un’integrale che non esiste! Si tratta infatti della registrazione di Neeme Jarvi, iniziata con la Chandos record e proseguita (ma con qualche “buco”) con la Deutsche Grammophone. Dal punto di vista globale si tratta di un’edizione eccezionale sotto ogni punto di vista e può essere la scintilla per iniziare a conoscere uno dei più grandi direttori viventi.
Buona, ma abbastanza alterna come risultati, l’edizione di Rostopovich per la Warner, che comunque ha il vantaggio di essere disponibile, a cd singoli, anche in collane ultraeconomiche.
Riguardo le sinfonie singole, gode di fama indiscussa la 7° diretta da Bernstein, così come è assolutamente raccomandabile la 5° diretta da Askehazy.
il movimento del "bombardamento di Leningrado" dall'ottava sinfonia di Shostakovich su un montaggio di fotografie dell'autore.
Se un’artista è riucito in tutto questo, è D’mitri Shostakovich.
Shostakovich nasce nel 1906. Giovanissimo pianista di talento, nel 1927 partecipa al concorso Chopin di Varsavia, dove però nonostante sia fra i favoriti, non vince, anche a causa di una crisi di appendicite proprio nel corso delle finali. Decide quindi che la sua strada non sia l’esecuzione ma la composizione. Bizzarro.
Ancora più curioso che Svitoslav Richter, uno dei più grandi pianisti del secolo, considerato uno fra i più intrattabili divi della tastiera, confessasse che l’unica persona che gli dava un reale timore reverenziale fosse proprio Shostakovich. In quanto, a suo dire, era l'unica persona al mondo in grado di comprendere la musica per pianoforte meglio di lui.
E che dire di una persona che viene insignita del prestigiosissimo Premio Lenin per le proprie composizioni, e dopo soli 12 mesi, si trova nella condizione di dover abiurarare le stesse identiche composizioni, per evitare problemi giudiziari?
Se da certi di vista non sempre è corretto analizzare la musica in funzione storica, nel caso di Shostakovich questo processo è inevitabile. Infatti la migliore chiave di lettura della sua (vasta) produzione è proprio la ricerca dei paradossi che hanno accompagnato la sua vita, paradossi che, nella Russia dei soviet erano all'ordine del giorno, paradossi che si specchiano anche nella sua produzione artistica, che spesso presenta una “maschera” retorica e rassicurante (per il regime), ma che allo stesso tempo contiene spunti di autoironia che sembrano comunicare allo spettatore smaliziato “prima ti ho mostrato l’abito nuovo dell’imperatore, ma adesso ti faccio capire che so benissimo che l’imperatore in realtà è nudo e l’imperatore è talmente borioso, che nemmeno capisce che lo sto prendendo in giro!”
Geniale.
Geniale laddove, come nei primissimi lavori, ha potuto dare sfogo liberamente alla propria creatività (la prima sinfonia, uno dei suoi capolavori, era stata il suo saggio per il diploma al conservatorio), ma anche e soprattutto, geniale quando la sua ironia viene dissimulata all’interno di composizioni apparentemente osservanti il più ortodossi canoni stilistici sovietici.
Canoni stilistici che si basavano sulla creazione di “musica realmente russa”, che privilegiavano la sinfonia ( genere che in realtà in Russia non godeva di particolare tradizione –se si eccettua Tchaikovsky, che però si riconduceva ai modelli tedeschi) e che ambivano alla finalità di “dilettare le masse, sottolineando la gloria della rivoluzione d’ottobre”.
(Anche) per queste ragioni Shostakovich fu eminentemente un sinfonista, tanto che ne scrisse ben 15 nella sua vita, utilizzando massicciamente temi d’ispirazione popolare e intitolando le varie sinfonie “L’anno 1905”, “Il Primo Maggio”, “Il 1917” etc. andando cioè a toccare le date ed i temi cari all’iconografia ufficiale.
Allo stesso tempo fu anche un prolifico quartettista e, forse, sarebbe interessante studiare come la sua creatività sfruttasse in maniera diversa questi differenti strumenti, laddove, nel caso dei quartetti, essendo destinati ad un pubblico più raccolto, gli era permessa una maggiore libertà dai vincoli del Ministero della Cultura.
Fattostà che, per restare alle sinfonie, almeno 6 di esse (prima, quarta, quinta, sesta, settima ed ottava) siano da considerare fra i maggiori lasciti sinfonici del ‘900 (soprattutto se, e non senza buone ragioni, consideriamo Mahler come un’appendice del XIX secolo).
E sottolineo del ‘900: infatti nonostante per semplicità talvolta si parli genericamente di “musica classica”, in questo caso siamo di fronte a musica sconvolgente, che poco o niente ha a che spartire con il sinfonismo beethoveniano o dell’800, se non per l’uso di un’orchestra.
Chi volesse avvicinarsi alla musica, potrebbe scoprire che la "musica classica" non è solo composta da minuetti e salterelli, ma che autori come Shostakovich, Prokofiev, Hindemith, Stravinsky, Schoenberg…solo per citare i maggiori, non erano dei semplici continuatori di una tradizione ormai impolverata, ma dei veri e propri rivoluzionari, autori di musica molto più “moderna” (e non per questo meno gradevole) di quella che siamo abituati ad ascoltare o, addirittura, a celebrare (la maggior parte delle colonne sonore cinematografiche, per esempio, copia in maniera evidente dalla produzione di questi autori).
Tornando alle sinfoniedi Shostakovich, la Prima , come accennato è un’opera giovanile brillante, stravagante e largamente influenzata da Hindemith e dall’avanguardia tedesca.
La Quarta sinfonia è un’opera di svolta nella sua produzione, composta nel periodo di maggiore crisi personale, segnato dalle critiche da parte del regime per il presunto “imborghesimento occidentalizzante” della sua produzione. Perciò venne ritirata dall’autore prima ancora della sua esecuzione. Stilisticamente è importante perché rappresenta l’ultima opera composta senza pressioni esterne.
La Quinta è, al contrario, la prima opera “di compromesso” ed è anche una delle sue composizioni più conosciute: basata principalmente sulla rielaborazione di temi popolari, è in effetti un vero capolavoro e, assieme alla prima, potrebbe essere la sinfonia migliore per iniziare l’ascolto di Shostakovich).
La Sesta, la Settima e l’Ottava sono le cosiddette “Sinfonie di Guerra”: in esse l’elemento bellico non solo è presente, ma è addirittura il protagonista (celebre il terzo movimento dell’Ottava che riproduce un bombardamento), e proprio in queste sinfonie, scritte in momenti molto difficili sia per la Russia che per Shostakovich stesso (l’assedio di Leningrado, la sua città natale alla quale è dedicata la Settima, portò ad oltre un milione di vittime, fra cui numerosi suoi amici e parenti) mostrano i primi esempi della dualità della sua produzione successiva: dietro al trionfalismo di facciata di queste composizioni, infatti, vi è un nodo irrisolto di terrore per ciò che accade intorno che, tutto sommato, poco si concilia con i proclami di vittoria.
Purtroppo alcune altre sinfonie (mi viene in mente l’Undicesima, ad esempio), sono veramente deludenti, per cui non saprei se consigliare a cuor leggero l’acquisto di un cofanetto o se prendere solo le sinfonie segnalate.
Riguardo le edizioni in commercio, tradizionalmente sono considerate registrazioni di riferimento quella di Haitink con la Congertebow di Amsterdam (DECCA) e quella di Kondrashin con l’Orchestra di Stato dell’URSS (Melodyia). Quest’ultima edizione, pur essendo registrata in maniera assai lontana dagli standard attuali ha la referenza unica di essere diretta da colui che ha diretto qualcosa come 10 “prime esecuzioni” delle sinfonie di Shostakovich, l’edizione Haitink ha dalla sua un’orchestra di livello molto superiore, una registrazione di alta qualità e, probabilmente, una visione più meditata della musica. Lato negativo è che mentre i cd di Kondrashin sono acquistabili singolarmente, quelli di Haitink sono solo in cofanetto.
Fra le registrazioni più recenti, abbastanza valida l’edizione ultra-economica di Barshai per la Brillant (3 euro a cd circa, solo in cofanetto) ben registrata, ma un po’ troppo posata, quella di Rodzensvensky (Melodyia), disponibile su 7 cd doppi separati, che al contrario sembra un po’ troppo fragorosa, ma che, se perde qualcosa dal punto di vista della raffinatezza, è comunque un’edizione incredibilmente valida dal punto di vista squisitamente emotivo.
In compenso quella che forse è la migliore edizione in commercio, in realtà è una non-edizione, nel senso che è un’integrale che non esiste! Si tratta infatti della registrazione di Neeme Jarvi, iniziata con la Chandos record e proseguita (ma con qualche “buco”) con la Deutsche Grammophone. Dal punto di vista globale si tratta di un’edizione eccezionale sotto ogni punto di vista e può essere la scintilla per iniziare a conoscere uno dei più grandi direttori viventi.
Buona, ma abbastanza alterna come risultati, l’edizione di Rostopovich per la Warner, che comunque ha il vantaggio di essere disponibile, a cd singoli, anche in collane ultraeconomiche.
Riguardo le sinfonie singole, gode di fama indiscussa la 7° diretta da Bernstein, così come è assolutamente raccomandabile la 5° diretta da Askehazy.
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