20 novembre 2007

Il mito Pergolesi e lo Stabat Mater

Affascinante storia quella di Giovanni Battista Draghi detto il Pergolese: nato a Jesi da una famiglia proveniente da Pergola, trasferitosi giovanissimo a Napoli per studiare al conservatorio, non compone nulla sino alla fine degli studi a 21 anni ed infine muore a 26 anni lasciandoci una manciata di capolavori.

Questa crepuscolare figura ha incarnato (prima dello stesso Mozart) l’immagine romantica del genio incompiuto, del talento inespresso a causa della precocissima morte.

La sua popolarità postuma è legata indissolubilmente a due composizioni: l’intermezzo buffo “La Serva Padrona” e il suo Stabat Mater, che la tradizione vuole che abbia composto nel letto di morte (altra vicinanza iconografica alla vita di Mozart) e considerato il capolavoro assoluto della musica sacra nello stile del barocco napoletano.

Spendo due parole per contestualizzare il discorso: nel ‘700 l’Italia in generale, e Napoli in particolare, era considerata la capitale mondiale della musica: i musicisti italiani (e napoletani soprattutto) erano contesi dalle corti di tutta Europa, riveriti e trattati come veri e propri divi.

Pergolesi divenne il più noto rappresentante di questo genere musicale, soprattutto grazie all'enorme successo postumo della sua musica. Non era quindi una jattura che il suo catalogo si riducesse ad una manciata di composizioni (qualche opera, un paio di oratori, un paio di messe e qualche sonata)? Ecco quindi apparire quello che potremmo considerare il primo esempio di…contraffazione musicale su larga scala della storia.

Un miracolo? Sì, ma un miracolo della stampa: per oltre un secolo e mezzo, numerosi editori presero l'abitudine di procurarsi musica poco nota del ‘700 napoletano per pubblicarla mettendo come autore il Pergolesi. Tanto alla fine dell’800 il catalogo di Pergolesi arriva a contenere oltre 600 composizioni, di cui almeno 570 di dubbia attribuzione ( le edizioni più recenti contano ora 148 brani, di cui solo 30 di indiscutibile attribuzione).

E così, grazie alla ricerca musicologica, si è scoperto che diverse fra le “sue” composizioni più popolari erano in effetti opera di altri autori, in larga parte quasi sconosciuti, come Domenico Gallo, Fortunato Chelleri, Francesco Durante, Leonardo Leo o Rinaldo da Capua…Autori napoletani suoi contemporanei il cui stile, effettivamente, è in larga parte molto simile a quello del Pergolesi.

Ma allora Pergolesi è bluff ? Vale a dire, il mito ha superato la leggenda? In realtà no: Pergolesi ha senza dubbio scritto lo Stabat Mater (ne esiste la copia autografa) ed il suo Stabat Mater è davvero il capolavoro assoluto della musica settecentesca napoletana.

Lo Stabat Mater è stato scritto per Soprano, Contralto (o mezzosoprano), orchestra d’archi e basso continuo; un’ensemble piuttosto ridotto che ben si concilia con le necessità esecutive di una composizione scritta su ordinazione per la congragazione di Santa Maria della Salute e destinata ad essere eseguita in una sala da musica per il Venerdì santo.

I versi di Jacopone da Todi sono suddivisi in 12 brani (o "numeri", come si usa chiamarli), dei quali il primo (Stabat Mater dolorosa) è di gran lunga il più popolare. Una caratteristica di questa composizione che più può sorprendere al primo ascolto (e che è stata oggetto di accanite dispute) è la varietà musicale al suo interno: a numeri musicalmente drammatici (Stabat Mater, Quis est homus, Quando corpus moriretur etc.) ve ne sono altri decisamente più epici (Fac ut ardeat) ed altri che sono accusati di utilizzare una musica troppo frivola ed allegra rispetto alle parole del testo (Inflammatus et accensus, Quae Maerebat…).

Il fatto trova una spiegazione nella vocazione teatrale della musica napoletana settecentesca.

Il business dell’epoca era il teatro dell’opera, il massimo successo di un autore consisteva nel creare melodie di immediata musicalità, il pericolo da evitare era la noia o la monotonia: tutta la musica barocca napoletana, sacra o profana, è accomunata da un gusto teatrale e da un’estroversione melodica che, per chi è magari abituato ad ascoltare gli austeri tedeschi, può suonare inconsueta. Che questo sia un bene o un male, è, come accennato, argomento di aspre discussioni da almeno un secolo.


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